HATHA YOGA E AUTO ANALISI

2024-08-29 12:10

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HATHA YOGA E AUTO ANALISI

Durante la pratica dell’Hatha Yoga esiste una grande opportunità,che va colta, se si vuole rendere la stessa pratica maggiormenteefficace: l’allenament

Durante la pratica dell’Hatha Yoga esiste una grande opportunità, che va colta, se si vuole rendere la stessa pratica maggiormente efficace: l’allenamento alla autoanalisi.



Qualcuno potrebbe stupirsi quasi di questa affermazione, pensando che l’hatha yoga sia solo fisico e che l’auto osservazione sia una questione mentale. Visto, però, che il nostro corpo, la sua forma, la sua struttura, il suo aspetto, il suo stato di salute è la risultante finale della nostra mente e che il nostro cervello usa il corpo come suo strumento per esprimersi, ecco che allora la questione diventa importante.



Auto analizzarsi potrebbe sembrare impegnativo, o, forse, per taluni, esageratamente serio, invece è un esercizio estremamente interessante, se fatto col giusto atteggiamento.



Ogni giorno noi seguiamo schemi mentali divenuti abitudini, le quali, infine, formano il nostro carattere, tanto da determinare le nostre scelte. La percezione che ciascuno di noi ha delle esperienze che vive è differente a seconda del nostro carattere, del vissuto, dei condizionamenti familiari, educativi, religiosi, sociali, ambientali, politici, storici ecc, di cui non siamo assolutamente consapevoli. Pensiamo di agire guidati dalla saggezza e di sapere perfettamente cosa pensiamo e perché pensiamo in un certo modo. Talvolta siamo nel giusto e facciamo la cosa giusta al momento giusto. Spesso, però, non siamo consapevoli di noi e ciò accade sia da un punto di vista fisico (sentiamo vibrare le nostre cellule? Ci accorgiamo del rumore del fluire del nostro sangue o a mala pena sentiamo il battito del cuore? Sentiamo se una cosa ci sta facendo male o ce ne rendiamo conto solo quando il dolore si fa sentire in modo evidente? Siamo consapevoli della nostra parete corporea frontale, ma siamo consapevoli anche di quella posteriore o occorre appoggiarci su un muro per comprenderla?), sia dal punto di vista mentale (siamo consapevoli di fare mediamente 60.000 pensieri al giorno? Diamo retta al nostro vero sentire o agiamo guidati da mille condizionamenti?). Già nella pancia della madre siamo condizionati dall’ambiente in cui lei si trova e da ciò che vive. Non solo. Noi tutti portiamo con noi un bagaglio karmico di vite precedenti, anch'esso determinante (il bambino prodigio, ad esempio, dimostra come abbia portato con sé talenti sviluppati in vite precedenti, ma, in realtà, ognuno di noi porta con sé, da vite precedenti, tendenze negative e positive).



Di tutto ciò siamo davvero inconsapevoli. Lo yoga ha anche lo scopo di aumentare la consapevolezza di sé a tutti i livelli, dal più superficiale al più profondo, fino alla diretta esperienza della propria realtà ultima, ossia l’anima. Questo è il vero scopo dello yoga, spesso dimenticato, se non addirittura ignorato, dalla maggior parte dei praticanti.



Tutto questo, dunque, come si trasferisce nell’hatha yoga o più in generale nello Yoga?



Facciamo qualche esempio.



Nell’ambito della pratica fisica, si può entrare in un asana e tenerlo con accettazione delle proprie difficoltà, con rispetto dei propri limiti, con ascolto e così scendere in profondità, trasformandolo in un momento meditativo, che ci predispone fisicamente e soprattutto mentalmente alla meditazione. Viceversa si può essere competitivi, forzare il proprio corpo in posizioni per lui inadeguate, con modalità poco consapevoli e, quindi, potenzialmente dannose, generando contestualmente tensioni mentali, poiché un corpo teso non può che agitare ulteriormente la mente. Ci si innervosisce perché il corpo non esegue la posizione così come la si è vista in una foto di una praticante atletica, o come una insegnante, fisicamente allenata, la riesce ad effettuare, senza supporti e con agilità. Allora, se ci si osserva, si può intravedere, nel fondo della propria mente, un senso di inadeguatezza, di severità, di giudizio e, magari, alla fine, si decide di fare altro, si scappa via dalla opportunità di trasformare le proprie tensioni profonde, ben radicate nel nostro mentale. Tutto ciò ben potrebbe essere ricondotto ad un concetto di violenza con se stessi. Un vero yogin sa bene che lo yoga si fonda su 10 principi fondamentali, di cui ahimsa, la “non violenza”, è il primo.



La domanda che ne consegue è: sto davvero praticando yoga? Sto agendo come faccio sempre anche laddove la pratica dovrebbe portarmi altrove, lontano dalle mie abitudini dannose? Ma allora che senso ha fare yoga? a cosa serve? Eppoi, avendo il libero arbitrio, cosa scelgo di fare? Resto uguale a me stessa o colgo una preziosa occasione di crescita personale? 


Come si nota, pur parlando di asana, ossia posizioni fisiche, si sta parlando di qualcosa di molto più profondo e importante, per cui si dovrebbe, da ciò, intuire come l’hatha yoga possa e debba essere svolto in modalità che portino benefici a più livelli, con un impegno totale da parte dello yogin, di sicuro molto più soddisfacente e premiante. Personalmente non sono mai riuscita a fare certe posizioni, né credo mai le farò, ma non per questo mi sono mai sentita meno di altre praticanti dotate fisicamente e so che ogni posizione, ripetuta migliaia di volte, se fatta col giusto atteggiamento mentale, porta sempre a nuove e più profonde consapevolezze.



Altro esempio. Entrare in un asana e contestualmente pensare ad altro, magari ad un problema che ci innervosisce, inevitabilmente farà tendere parti del corpo, che magari in quella posizione dovremmo rilassare. Magari irrigidiamo il volto, i muscoli del collo, ed ecco tensioni agli occhi, alle cervicali, eppoi anche in punti lontani del corpo, ad essi collegati. Stiamo praticando per rilassare, ossia rilasciare le tensioni fisiche derivanti dalle mentali, ma contestualmente le stiamo continuando ad alimentare. Prendiamo la medicina e il veleno allo stesso tempo e non ce ne rendiamo conto. L’inconsapevolezza, dovuta a mancanza di auto osservazione, è il motivo per cui arriviamo alla pratica doloranti e contratte: sempre le stesse tensioni, sempre le stesse cause, mai risolte. Stesse abitudini, stesso disco che suona sempre la stessa canzone….eppure affermiamo di andare a fare yoga!!!



Anche quando eseguiamo una pratica dinamica ci siamo mai osservate? siamo dentro a ciascun movimento, lo godiamo, abbiamo una mente rilassata e un respiro armonioso e profondo, che accompagna il gesto, o siamo agitate, abbiamo l'ansia da prestazione, il respiro è corto, la mente agitata, siamo in un asana e pensiamo già a quello successivo, contraiamo il volto, parti del corpo non necessarie, non siamo presenti a noi stesse nel qui ed ora? non sarebbe allora meglio imparare a praticare profondamente, per poi affrontare serenamente le pratiche più impegnative, quando davvero le sappiamo eseguire con le modalità per noi più giuste?



E’ anche possibile praticare pranayama con stato di tensione e così la meditazione. E’ possibile restare con grande pazienza ad allenare la mente alla concentrazione profonda, sopportando e imparando a gestire le migliaia di pensieri, che si affollano non appena ci si siede, invece di dire che la meditazione non fa per noi e che è meglio continuare a fare altro.


L'auto analisi non è sempre un lavoro facile, specie se la nostra mente è poco abituata all'ascolto, alla concentrazione e non siamo realmente determinati alla sua purificazione. Anche avendo tutta la buona volontà, cambiare le abitudini dannose, radicate in noi da una o più vite, non è semplice e prevede cadute e risalite, ma ci fa conoscere il grande valore dello yoga e gli dà un sapore molto più interessante.     



L’autoanalisi, praticata serenamente anche durante le varie parti dello Yoga, per poi entrare nella calma della meditazione, è un elemento necessario, un fondamento dello Yoga. Uno yogin serio allena la sua mente, allo scopo di divenire maestro di se stesso.



I benefici sono sul piano mentale e di conseguenza su quello fisico, poiché ogni tensione mentale, se non osservata e purificata, conduce a tensioni fisiche inevitabilmente.



L’autoanalisi è parte integrante di ogni lezione, dove viene costantemente allenata, in modo che questa diventi anche una buona abitudine quotidiana. Lo yoga diventa così un valido aiuto, con cui poter affrontare anche tutte le battaglie della vita.



La mente impara sempre più la introspezione, necessaria per meditare e raggiungere lo scopo finale dello yoga, che non va mai dimenticato: la realizzazione del sé.




Namastè.










Fonti bibliografiche:



Paramahansa Yogananda “Lo Yoga della Bhagavad Gita”, Astrolabio, 2012